domenica 31 dicembre 2017

I POMPIERI DI TORRE ANNUNZIATA!


Per l'ultimo post riguardante il 2017, voglio soffermarmi sul ricordo e sul servizio, svolto in modo assolutamente encomiabile nel corso dei decenni scorsi, dai Pompieri della Caserma di Torre Annunziata.

Si, perché, anche se tanti torresi non lo sanno oppure non lo ricordano, anche a Torre Annunziata erano dislocati con la loro sede i Pompieri, i moderni Vigili del Fuoco.

Ai nostri giorni, appena sentiamo l'imponente suono della sirena del loro automezzo, ci giriamo, guardiamo, ammiriamo e facciamo il tifo per quel gruppo di persone che, proprio in quel preciso momento, stanno mettendo in gioco la propria vita accorrendo sul luogo dove sta consumandosi qualcosa di devastante.

Posso solo immaginare i Pompieri che una volta erano presenti nella nostra città.

Sicuramente avranno avuto un diverso metodo di addestramento rispetto a quelli che operano ai nostri giorni.

Anche la preparazione all'uso dei mezzi e del loro impiego ha subito una trasformazione completa dovuta ai nuovi metodi di insegnamento e ai diversi materiali impiegati nei loro interventi.

Inalterata, però, è rimasta la passione con la quale si buttavano anima e corpo nel loro compito improbo, allora più di oggi.

Ricordo, nelle mie letture, i continui incendi ai mulini e pastifici nel corso d'inizio Novecento, praticamente uno ogni mese, piccolo o grande che fosse, che hanno contribuito alla scomparsa dell'arte bianca da Torre Annunziata.

Infatti, la totalità dei locali non erano dotati di servizi antincendio e la presenza di attrezzature e materiale facilmente infiammabile, tipo cassette di legno, carta per imballaggio, sacchi di iuta, contribuivano in modo continuativo alla distruzione del locale o edificio che fosse.

Sono almeno una trentina gli articoli di giornali conservati in cui si descrive e si dà notizia di un incendio di un pastificio a Torre Annunziata.

E sono solo quelli meritevoli di menzione per la gravità del fatto.

La loro sede era in via Eolo, di fronte al dopolavoro dello Spolettificio, e veniva comunemente denominato "Magazzino delle Pompe".

Questo ampio locale era parte della proprietà Cesaro.

Il grande cortile aveva diverse prerogative: serviva per le esercitazioni e gli allenamenti e poi anche per la pulizia e la preparazione dei mezzi che si utilizzavano per portarsi sul luogo della chiamata.

Il caporale delle guardie, don Ciccio Maresca, era il responsabile di quel deposito fin dall'inizio del 1900, mentre il capitano Salvatore Elia era il Comandante delle Guardie.

Dagli articoli di giornali d'epoca, il ricordo continuo della presenza sempre pronta e attiva del Capitano Elia, presente sui luoghi degli incendi per coordinare tutte le azioni di salvataggio e spegnimento.

Loculo Salvatore Elia- Cimitero Torre Annunziata- Foto Antonio Papa



Ricordiamo inoltre Salvatore Elia per essere stato anche il padre della professoressa Olga Elia, archeologa molto nota negli anni cinquanta del secolo scorso e di cui ci occupammo in altro post dove raccontammo una parte della sua storia, intrisa di veleni, dispetti, e discriminazione che minarono la carriera della valente docente.  

https://tuttotorre.blogspot.it/2017/04/olga-elia-successe-tutto-per-colpa-sua.html

Il corpo dei Pompieri spesso non bastava ad arginare il rogo e allora venivano chiamati in aiuto la squadra della Regia Marina di Castellammare di Stabia e, nelle situazioni disperate, si richiedeva l'intervento delle squadre dei pompieri di Napoli che, per il loro coraggio, suscitavano ammirazione ovunque.


Incendio Fabbrocino -Il Mattino Illustrato- 1924


Abbastanza nutrito era il parco macchine in gestione ai Pompieri di Torre, anche perché la loro mansione non si limitava all’intervento antincendio ma includeva la pulizia delle strade cittadine, tramite violenti getti d'acqua, prelevate dalle colonnine, distanti circa duecento metri una dall'altra.

Inoltre era loro affidato il compito della pulizia settimanale del pavimento della Chiesa del Carmine e del sagrato antistante, oltre alla piazza Tiglio, oggi Matteotti, sede del mercato del pesce.

Dopo la morte del Comandante Elia nel 1928, le sorti del comando vennero provvisoriamente espletate dall'avvocato Gabriele Prisco, fino all'arrivo del dottor Giuseppe Balzano, avvenuta nel 1936.

Il servizio antincendio andò avanti fino al termine del 1940.

Con l'istituzione del Corpo dei Vigili del Fuoco a carattere nazionale e non più comunale, tutta le attrezzature e i macchinari vennero ritirati dai Vigili del Fuoco di Napoli.

Il tutto venne consegnato nei locali di piazza Paolo Morrone, ultima sede dei nostrani pompieri.

Rimasero in possesso dei nostri " Vigili Urbani" solo due innaffiatrici, che, inesorabilmente, nel corso di pochi anni vennero rottamate neanche dagli amministratori locali ma dal Commissario Straordinario che, spesso, ha sostituito il Sindaco e gli amministratori locali.

Con rammarico e rassegnazione, accettammo passivamente il trasferimento di questa importante istituzione.

Resta in noi il ricordo per la sicurezza e la volontà ammirevole che queste persone sapevano trasmettere nell'assolvimento del loro difficilissimo compito.

A chiusura di questo post, voglio ringraziare e fare gli Auguri di Buon Anno 2018 a tutti gli amici che hanno seguito e seguono ancora questo blog, che tante soddisfazione ha dato al sottoscritto, sia per la partecipazione numerosa con cui vedo visualizzate le pagine che per i commenti e l’interesse che si sviluppa alla pubblicazione di un post.

È l’amore per la nostra città.

Il 2017 mi ha dato la possibilità e la soddisfazione di veder pubblicate queste notizie d’epoca della nostra Torre Annunziata nel secondo volume “51 Racconti storici-giornalistici su Torre Annunziata”, scritto e commentato assieme all’amico Vincenzo Marasco, storico e cultore, oramai non solo locale, a 360 gradi, grande esperto ma soprattutto, un grande amico.
Buon anno 2018 !!!



lunedì 11 dicembre 2017

IL GIORNO DELLA RIVINCITA!!!


1924: IL GIORNO DELLA RIVINCITA!


 


Il giorno del voto tanto atteso era arrivato!

Quella domenica in città il clima era pesante e la tensione si manifestava negli angoli delle strade, fuori dai pastifici, dalle fabbriche, ovunque.

Avevo visto, la settimana prima del voto, l’arrivo di una lunga fila di carabinieri a cavallo, che vennero attentamente disposti dal Commissario di P.S. Ferrante, in previsione del loro impiego nelle principali piazze di afflusso, al fine di evitare il rischio di contatto tra le opposte fazioni di contendenti.

Non riuscivo a capire e a contare quanti ne fossero, probabilmente un centinaio, forse il doppio.

Il grosso delle truppe a cavallo venne posizionato nell’area portuale, in attesa di disposizioni, onde spostarsi per arginare eventuali scontri.

Il risultato delle urne fu un autentico pugno nello stomaco per i vertici politici locali e per il Sindaco Pelagio Rossi che appena sette mesi prima aveva “rubato” la poltrona proprio ad Alfani.

Enorme il disappunto degli avversari fascisti, capitanati da quel Pelagio Rossi, vero terminale politico locale con i vertici del movimento creato da Mussolini, nuovo padrone d’Italia.

Non erano bastate le minacce e i tentativi di persuadere la massa ad evitare quel voto, a sinistra, specialmente perché il personaggio in questione, Gino Alfani, era stato appena destituito dalla carica di Sindaco di Torre Annunziata, assieme alla sua giunta, dalla prepotenza e sopraffazione dei seguaci delle camicie nere che cacciarono intere amministrazioni di sinistra, dal 1921 al 1923, elette democraticamente.

 E non erano bastate neanche le minacce, più o meno esplicite, rivolte agli esponenti di sinistra di “stare attenti” altrimenti “avrebbero fatto la fine di Bertone”, vigliaccamente assassinato a Torre Annunziata da tre fascisti nel 1921.

La lotta alle camicie nere non venne mai meno nella nostra città, anzi.

Quel 6 aprile del 1924 giunse l’occasione di un parziale riscatto.

Bastarono un paio di giorni affinché giungesse in città l’ufficialità della vittoria di Alfani con l’elezione alla Camera dei Deputati.

La rivincita dei “rossi” era compiuta!

Alfonso D’avino, il giorno del voto, si era recato a votare per dare il suo sostegno ad Alfani.

Al momento del riconoscimento, si accorse che era sprovvisto del documento che accertasse le sue generalità.

Lo aveva perso.

Senza quel documento non gli era permesso votare.

A meno che…

C’era un solo modo per poter votare e consisteva nella testimonianza di un conoscente che potesse garantire della sua identità.

In quella sede c’era un suo conoscente, Michele Palumbo, che certamente avrebbe garantito per lui.

Non fu cosi!

Michele Palumbo disse di non conoscerlo, per Alfonso non ci furono preghiere e suppliche che tennero.

Il Palumbo, notoriamente di simpatie fasciste, non permise ad Alfonso di esercitare il suo diritto al voto.

La scazzottata tra i due divenne inevitabile, nel parapiglia ci furono alcuni contusi che avevano tentato di dividere i due litiganti.

La storia tra i due sembrava dovesse finire così.

All’indomani dell’annuncio ufficiale della vittoria di Alfani, grandi masse di operai, in maggior parte aderenti al settore metallurgico, giravano per la città in segno di giubilo.

Uno di questi cortei di operai, più folto di altri, aveva attraversato il corso principale per poi discendere via Alfonso De Simone, “a scesa dà Nunziata”.

Erano i lavoratori della “Ferriera del Vesuvio”.



Con grande convinzione e portamento, camminavano compatti, alternando l’urlo per il compagno Alfani all’immancabile intonazione dell’inno di “Bandiera rossa”.



“Avanti o Avanti o popolo alla riscossa

Bandiera rossa, bandiera rossa

Avanti o popolo alla riscossa

Bandiera rossa trionferà



 Bandiera rossa la trionferà

 Bandiera rossa la trionferà

 Bandiera rossa la trionferà

 Evviva il comunismo e la libertà.”



Dalla mia postazione privilegiata, una panchina posizionata all’ingresso dell’area portuale di fianco allo stanzino della finanza, riuscivo a vedere quella meravigliosa massa di uomini che si muovevano tutt’uno nella loro fierezza, tra gruppi di personaggi ostili che si erano impadroniti della mia città con la violenza, e che certamente stavano pensando come arginare quella marea di “rossi” che sfidavano tutto e tutti.

Mio zio Gaetano Papa, quella mattina era stato allertato che ci sarebbe stato più movimento del solito nell’area del porto e lui, da capo delle Guardie di Finanza, aveva richiesto maggiore attenzione e sorveglianza ai suoi uomini per quell’area a forte rischio di incidenti.

D’altra parte, in quelle centinaia di metri quadri giravano migliaia di persone e gran parte dell’economia di Torre Annunziata.

In quei giorni di elezioni, da quell’area dipendeva anche la salvaguardia dell’ordine pubblico.

Come capitava spesso al mattino, ero passato a salutarlo, anche perché era bello, per me che ero appena giovinetto, vedere quel movimento di carabinieri, cavalli, navi, lavoratori, e il mare…

Abitavo proprio in zona, a cento metri dal porto.

Con attenzione e giudizio, Gaetano Papa iniziava a scrutare i movimenti e le intenzioni dei due gruppi rivali.

Aveva capito che qualcosa stava per succedere, d’altronde era inevitabile che una scintilla potesse scoppiare in quel miscuglio di fuochi d’artificio e polvere da sparo.

“Vieni via di lì, entra nella garitta e non muoverti” -  mi disse.

Lo vedevo preoccupato.

La massa operaia avanzando, aveva completato la discesa di via De Simone ed era arrivata nei pressi dei due archi che dividono la “Nunziata” dal porto.

Il coro di “Bandiera Rossa” saliva sempre più alto dalle voci e dal cuore degli operai.

Tra loro, nel lato sinistro del gruppo, c’era anche Alfonso D’avino.

Appena dentro l’area di accesso al porto, in compagnia stretta di due camerati, Michele Palumbo.

Ad ogni intonazione delle strofe dell’inno operaio, seguivano sonore e continue bordate di fischi da parte degli oppositori.

E proprio in quel momento di massima tensione che Alfonso si accorse della presenza del Palumbo.

Si avventò con un balzo deciso su di lui ed iniziarono di nuovo la scazzottatura.


Palumbo, preparato a quello scontro, schivò alcuni colpi e appena si allontanò di qualche metro, tirò fuori in un baleno una rivoltella dalla tasca del pantalone e non esitò a sparare diversi colpi verso Alfonso.

Il terrore assalì i presenti, consapevoli appieno dell’enorme pericolo cui stavano affrontando.

I colpi del Palumbo andarono a vuoto, mentre Alfonso, dopo aver estratto a sua volta la pistola che anch’egli aveva celato nei pantaloni, sparò tre colpi che andarono a segno nelle ginocchia dell’avversario.

Dopo averlo visto soccombere, Alfonso, pistola in pugno, ordinò a un portatore di carrozzella di allontanarsi per tentare la via di fuga.

Vidi questa scena terribile rinchiuso nel gabbiotto, adibito al controllo dell’operazioni di ispezioni della Finanza, di cui era responsabile mio zio.

Alfonso D’avino saltò sul calesse per tentare la fuga!

Cinque secondi.

Tanto bastarono a mio zio Gaetano affinché si affiancasse al calesse, pronto per la fuga, e tentasse di bloccare il fuggitivo.

Le urla, la folla, i colpi di pistola, il terrore.

Il cavallo ormai era incontrollabile, Alfonso non riusciva a domarne gli irrequieti movimenti, ormai erano in preda al panico cavallo e conducente.

Mio zio venne investito in piene dal cavallo e travolto da una ruota dell’ormai incontrollabile mezzo di trasporto.

Intervennero i soccorsi, anzi, i carabinieri.

La carica per disperdere le due fazioni diventò necessaria per raccogliere e portare nel luogo del ricovero dell’ospedale cittadino i due feriti gravi rimasti a terra.

Il Palumbo, per la gravità delle ferite venne trasportato a Napoli, al Pellegrini.

Entrambi i feriti si ripresero, non seppi però cose accadde al D’avino.

Rimasi per diversi minuti terrorizzato, chiuso nella piccola stazioncina.

Venni fuori solo dieci minuti dopo, quando accorse mio padre a riprendermi, subito allertato da alcuni amici sull’evolversi in modo negativo e violento della marcia operaia contrastata dai simpatizzanti fascisti.

Ritornando verso casa, ricordo che rimasi in trance per tutta la violenza a cui avevo assistito in quella drammatica mattinata.

Tutte quelle storie lette e “vissute” in quegli anni hanno indirizzato in modo inequivocabile e netto la mia formazione politica e culturale verso forme di aggregazione e partecipazione in antitesi con gruppi e movimenti fautori ed ispiratori della violenza, la soppressione, la repressione come forma di eliminazione dell’avversario, elementi che possiamo affermare essere prerogativa del fascismo e dei suoi seguaci in genere.  



Era l’8 aprile del 1924.

Altri avvenimenti accaddero in quell’ anno.

Nel corso dei mesi immediatamente successivi il Paese subì l’assassinio di Matteotti che non fece altro che avvelenare ancora di più gli animi tra sostenitori di Mussolini e gli antifascisti.

A maggio, Pelagio Rossi dovette cedere la carica di Sindaco a favore di Francesco Galli De Tommasi.

Uno dei primi atti ufficiali del nuovo Sindaco fu quello di organizzare i cerimoniali per l’arrivo del Genoa Calcio in arrivo a Torre Annunziata per disputare la finale scudetto contro lo squadrone del Savoia di patron Voiello.

Lo stesso Mussolini sarà a Torre Annunziata in visita a settembre in giro per le fabbriche.

Insomma, quel 1924 sarà un anno che sarà ricordato per i tanti avvenimenti accaduti nella nostra bella città, e non sempre per fatti positivi…


martedì 28 novembre 2017

QUEL GIORNO CHE CACCIARONO I CAPI!!!


NOVEMBRE 1971

                                                                   DERIVER-
                                    Quel giorno che cacciarono i capi!!!

Quel 1971 aveva già provocato diverse preoccupazione per l’impennata della criminalità e per i primi, consecutivi, atti di cronaca che si perpetrarono all’interno del territorio torrese, con frequenza quasi giornaliera.

L’opinione pubblica venne sconvolta nel mese di giugno per l’incredibile vicenda dei fidanzatini quindicenni che scelsero di suicidarsi sotto il treno dopo essersi visti ostacolare dalle famiglie nella loro storia d’amore.

Ricordai la loro storia qualche mese fa, all’interno del blog.  (https://tuttotorre.blogspot.it/2017/06/lassurda-tragedia-damore-del-giugno.html)

Solo il destino volle che la giovane ragazza rimanesse in vita.

Il ragazzo, Raffaele Autiero, non riuscì ad evitare l’atroce morte.

E ancora, quattro feriti per una sparatoria tra i clan emergenti all’interno del bar Felli, anteprima di episodi di quelle che sarebbero diventate azioni di ordinaria follia nelle nostre strade.

Le industrie operanti sul territorio erano ancora abbastanza attive, anche se non tardarono ad arrivare i primi segnali di quella che sarebbe divenuta la disfatta totale dell’azione politica/industriale faticosamente instaurata nel nostro territorio già dalla fine degli anni Cinquanta.

La Deriver, in poco tempo divenne una delle fabbriche in cui vennero occupati più lavoratori rispetto alle altre della zona.

Era specializzata nella produzione di funi di acciaio, filo zincato, chiodi, fili lucidi e cotti per qualsiasi impiego e tutte le altre attività inerente la lavorazione dell’acciaio. 

La Deriver, con le sue centinaia di operai, fu una delle prime ad avvertire, e di conseguenza, vivere sulla propria pelle, lo stato di malessere che riguardava il trattamento economico e previdenziale differente tra operai della stessa categoria operanti in regioni diverse.

Nello specifico, rapportando e confrontando le spettanze tra i lavoratori torresi e quelli lombardi, era evidente una grave forma di discriminazione nei confronti dei lavoratori torresi.

Ormai i motivi dello scontro erano chiari ed acclamati.

Lo stato di agitazione era stato proclamato da diverse settimane.

Il sindaco Luigi Matrone, comunista, aveva già fiutato l’aria pesante e si era precipitato già due volte in quelle settimane all’esterno dei cancelli per parlare agli operai e ai responsabili delle organizzazioni sindacali.

Nel frattempo, erano trascorsi diversi giorni da quando il sindacato operante all’interno della Deriver di Torre Annunziata aveva deciso di scioperare contro la proprietà.

Non erano ancora bastate diverse giornate di lotta per convincere la proprietà lombarda a concedere l’adeguamento e la parità di trattamento degli operai torresi a quelli delle altre aziende del gruppo Finsider, di cui la stessa Deriver faceva parte.

In questa occasione, oltre agli operai, aderirono all’agitazione anche un folto gruppo di impiegati.

La classe lavoratrice aveva bisogno di tutte le sue componenti attive per creare le condizioni affinché le istanze da loro presentate fossero prese in seria considerazione e valutate attentamente dalla controparte.

Quella fredda mattina del mese di novembre, in tanti erano arrivati al limite della sopportazione.

I cancelli erano rimasti chiusi, ancora una volta la massa aveva bloccato l’azione di ripristino lavoro, richiesta timidamente, ogni giorno, dai dirigenti di fabbrica.

Ormai erano diversi giorni che la situazione era bloccata, non si erano aperti spiragli di trattativa né dall’una né dall’altra parte.

L’agitazione era iniziata nei primi giorni del mese di ottobre.

Ormai, era muro contro muro.

Quel 18 novembre, verso le dieci, dopo che il capo del personale, avvocato Pasquale Nonno, prese possesso della sua “scomoda” poltrona in cerca di soluzioni per sbloccare l’intrigata matassa, qualcosa di grave e clamoroso appesantì ancora di più il clima, già difficile e problematico, tra le rispettivi parti in causa.

L’incontro fissato nella sala direzionale con i rappresentanti degli operai, in massima parte iscritti alla FIOM CGIL, stava prendendo, purtroppo, anche quella mattina, una piega decisamente negativa.

Troppo distanze tra le richieste e le controproposte, la proprietà non aveva alcuna intenzione di fare concessione agli operai dell’azienda meridionale, secondo loro la differenza di trattamento aveva ragione di esistere e doveva rimanere tale.

Successe tutto in pochi minuti, la clamorosa azione dei rappresentanti fu concertata e decisa in quelle prime ore del mattino, esasperati dalle continue risposte negative del Nonno.

Numerose persone tra impiegati e operai, dopo essere entrati nella sala dell’ufficio, chiesero al Nonno di lasciare la sede, e al suo diniego, lo costrinsero con la forza ad uscire dallo stabilimento.

Dopo il suo allontanamento, anzi, la sua estromissione, anche tutti gli altri dirigenti si allontanarono dai propri uffici, compreso il direttore generale.

Gli operai avevano cacciato i “padroni “dalla loro fabbrica!!!

Grande eco in tutta la nazione e su tutta la stampa nazionale per questo episodio che riportò la città di Torre Annunziata alla ribalta della cronaca.




I sindacati vennero accusati di fomentare la rabbia degli operai con l’infiltrazione di delinquenti comuni non controllabili dai propri vertici.
La preoccupazione istituzionale venne espressa dal ministro degli interni Flaminio Piccoli, allora anche responsabile politico delle partecipazioni statali, che con un comunicato molto duro sull’azione degli operai di Torre Annunziata, li accusò di attentare ai principi di libertà e dignità del lavoro, mettendo a serio rischio tutto l’apparato produttivo del paese in un momento molto delicato dell’economia.
Ma l’azione degli scioperanti non si ridusse, anzi continuò ancora per 120 giorni!
Ci vollero cinque mesi per le parti per trovare un accordo.
L’annuncio venne dato nel mese di marzo del 1972,  gli operai ottennero quanto richiesto.



Oltre ai vantaggi economici derivanti dai nuovi livelli retributivi, la parte normativa dell'accordo assumeva un valore rilevante perché in essa erano stabilite condizioni eque per le prospettive caratteristiche e la formazione professionale del dipendente.
Insomma, quella volta la lotta portò dei risultati positivi per i lavoratori, anche se raggiunti a carissimo prezzo, dopo cinque mesi di sciopero e  con la rabbia per l’immagine di violenza che si volle dare all’intero movimento sindacale e lavorativo in seguito alla clamorosa cacciata dei padroni dall’azienda di Via Terragneta in quel novembre del 1971.


martedì 7 novembre 2017

MICHELE LANESE- LA STORIA DEL "PASOLINI " TORRESE, A 36 ANNI DALLA TRAGICA MORTE.



Aveva solo 33 quando decise di premere il grilletto di quella maledetta pistola e mettere fine alla sua esistenza.
Michele Lanese  era nato nel 1953.
Scelse di morire cosi, in modo solitario ma eclatante, dopo essersi recato nel garage dei genitori, in via Gino Alfani 15, dove viveva assieme a loro ed a una sorella.
Non era rientrato a casa quella notte.
Aveva deciso di dire addio alla vita in quel modo tragico.
Il padre lo ritrovò la mattina successiva, dopo una notte di ricerche. 
Il padre, Raffaele, era infermiere e lavorava presso la Farmacia del dottor Lavarone al Corso Umberto e nel tempo libero si recava a casa di pazienti che lo chiamavano per avere la sua assistenza sanitaria.
La madre era Michelina Mascolo.
Ma chi era Michele Lanese?
Ai giovani poco o nulla potrà dire il suo nome, anche perchè sulla sua vicenda è sempre caduto un velo di silenzio, di mistero, quasi come fosse stato un fastidio parlarne.
Non ho avuto mai occasione di conoscerlo, i dieci anni di differenza che ho con lui sono un'eternità nella storia di Torre Annunziata.
Quelli come lui, nativi  tra il Cinquanta e il Sessanta hanno lottato, con tutte le loro forze e con ogni mezzo, per ottenere dignità e lavoro in una società intenta a salvaguardare e dividersi poltrone e potere, in combutta con la camorra.
Erano gli anni in cui migliaia di disoccupati si erano riuniti in movimenti organizzati, alla disperata ricerca di una occasione di riscatto.

Gli altri, politici e truffaldini, si erano riuniti in associazioni a delinquere.
Molti di loro erano contrabbandieri di sigarette, "mestiere" ormai praticamente sul viale del tramonto a causa dei nuovi traffici, armi e droga,  che andarono ad aumentare il fatturato dei clan della zona. 
Tanti cercarono di fermarsi prima dell'irreparabile, aggrappandosi a quell'ancora di salvezza, rappresentata dal posto di lavoro ottenuto tramite lotta.
Furono premiati.
Arrivò la legge 285, firmata da Tina Anselmi, per spezzare quel record negativo di disoccupazione giovanile e inserire nel meccanismo lavorativo migliaia di giovani, togliendoli dalle strade in cui già scorreva sangue di morti ammazzati.
Torre Annunziata venne molto avvantaggiata da questa situazione.
Michele, già allora, poco piu' che ventenne, era uno dei capi del movimento.
Iniziò a lavorare, assunto come impiegato dell'assessorato alla cultura.


Il suo impegno, politico e sindacale, continuava ad essere continuo ed incessante, nonostante il nuovo lavoro.
Proprio in quel periodo ottenne una carica molto prestigiosa, diventando segretario della Cgil di Torre Annunziata.
Negli anni Ottanta a Torre Annunziata, piu' di altre zone limitrofe, imperversavano droga ed eroina  in quantità enorme.
Erano tanti, troppi, i giovani eroinomani e tossicodipendenti entrati e mai piu' usciti da quel tunnel mortale.
Michele scelse di lottare con loro, era a fianco di questa gente, si sentiva parte di loro.
Ma era una lotta impari, troppo potere e soldi sporchi circolavano nel nostro territorio.
Iniziarono anche le guerre di clan.
La piu' clamorosa, agosto 1984, la strage di Sant'Alessandro.
Otto morti e una quindicina di feriti, la mattanza tra le strade cittadine, Torre Annunziata sulle prime pagine e sui servizi giornalistici di tutto il mondo.
Per diversi giorni, mesi.

Forse ancora oggi qualcuno si ricorda di noi per quella giornata.
Assemblee e dibattiti per interrogarsi sul perchè di quella strage, si susseguirono nel paese.
Durante una di queste assemblee, Michele chiese di parlare.
E parlò.
Denunciò le ingerenze della criminalità in seno all'apparato politico cittadino, le infiltrazioni camorristiche ormai arrivate ad inquinare la giunta comunale.
Qualche giorno dopo, queste gravissime accuse vennero ripetute in una intervista al Tg1.
Michele scoperchiò il vaso di Pandora, diventando per l'opinione pubblica "il sindacalista d'assalto".
Trascorse un anno in trincea, lottando anche contro le prime minacce camorristiche che gli arrivarono direttamente in prima persona.
Poi, l'anno dopo, un'altra tragedia.
Arrivò l'omicidio di Giancarlo Siani, settembre 1985.
La morte dell'amico giornalista rese Michele ancora piu' agguerrito nei confronti della politica locale.
In una infuocata conferenza stampa, Michele Lanese chiese l'arrivo della Commissione Antimafia per valutare l'operato della giunta, innescando una fortissima polemica con il sindaco Beniamino Verdezza, reo, secondo Michele , di non aver mai parlato di "omicidio di camorra".
Verdezza si difese, rispose che non poteva generalizzare e buttare fango sull'intera comunità.
Forse, da lì in poi, per Michele iniziò una pausa di riflessione, dovuto anche ad un precario stato di salute.
In un servizio giornalistico del Tg1, a seguito dell'omicidio Siani, questa volta scappò davanti alla telecamera, accusando:
"Ve lo avevo detto che sarebbe finita così!"
Si rifugiò  nei suoi versi, espressi in poesie, che faceva leggere ai suoi vecchi amici.
Tra queste poesie, una dal titolo:" Me ne andrò in autunno".
Un segnale di cupa premonizione.
Era la poesia che venne stampata sui manifesti che fiancheggiarono quelli della sua morte, da quel 7 novembre 1986
. 
Per ricordare la storia di Michele.
Forse era il saluto che voleva fare alla sua amata/odiata città.
Da allora, su Michele Lanese scese l'oblio.
Era un personaggio "scomodo", raramente ho letto qualche articolo sulla sua figura e sulle sue lotte.
Solo in pochi, nel corso di questi decenni, hanno avuto un ricordo, un pensiero, una frase per ricordare la sua esistenza.
Michele avrebbe meritato maggiore e migliore considerazione.
Spesso, nella nostra città, queste persone sono le piu' vere, sincere e sensibili e solo grazie al loro impegno, nel civile e nel sociale, si sono raggiunti risultati che hanno cambiato il destino di una intera generazione.


Michele era una di queste persone. 

R.I.P. Michele Lanese.

mercoledì 1 novembre 2017

1 NOVEMBRE 1962 - NEL GIORNO DI "TUTTI I SANTI" , LA TRAGEDIA EVITATA...



Corriere della sera- 2 Novembre 1962


Era giorno di festa.
Quell'anno, il 1962, la festa di "Ognissanti" cadeva di giovedi.
Un Primo Novembre abbastanza movimentato.
D'altra parte, come ben sappiamo, la zona che porta da Piazza Croce a via De Simone, "a sces da Nunziata", è sempre stata caratterizzata da un gran numero di attività in massima parte legate alla vendita di alimentari di tutti i generi.
Erano decine, in maggior parte ambulanti, che aspiravano e lottavano per piazzare la loro merce in quei due metri di spazio pro capite, e andavano a contrattare con chi di dovere per ottenere l'autorizzazione.
Sapevano che quel luogo era l'unico modo per essere sicuri di vendere la loro merce.
Quel posto, quella zona in particolare, era garanzia di successo, dai frutti di mare al pesce, dal pane alle fragole, dal gelato ai fichi d'india, dalle noci alle angurie.
Tutto si vendeva.
Tutto.
Non era solo un giorno di festa, per qualcuno no.

C'era un funerale in programma, era previsto nel pomeriggio, dopo la messa svoltasi in chiesa.
Erano passate da poco le sedici, come al solito il percorso del corteo funebre prevedeva l'arrivo in via Garibaldi, "o vico e San Gennaro", e da lì il proseguimento per via Sepolcri, sede del cimitero cittadino.
Arrivati  all'imbocco con l'importantissima via Garibaldi si era creato un certo movimento e frastuono.
La giornata di festività aveva portato diverse auto e gruppi di persone  nella zona.
Erano i tempi in cui le auto erano ancora un lusso ma, inevitabilmente, l'acquisto  della prima macchina stava diventando un sogno realizzabile per tante famiglie.
Destinati al declino, coloro che erano proprietari di calesse trasportato da cavallo, anche se dobbiamo dire che a Torre Annunziata riuscirono a continuare il loro lavoro fino agli inizi degli anni ottanta, per poi definitivamente sparire.
Un'altra delle tradizioni torrese che ha dovuto lasciare il campo al progresso dei mezzi stradali.
Proprio in Piazza Croce era posizionato il calesse di Giuseppe Mirto, sessantanovenne, intento a parlottare con altri suoi compagni di lavoro, in attesa che qualche gruppo  di persone terminasse il giro alla ricerca di mercanzie  e si decidesse a fare rientro a casa.
Evidentemente, oltre al tranbusto dei mezzi, in quel momento si aggiunse anche la confusione creatasi per l'arrivo del funerale, e accadde che il cavallo del Mirto riuscì a sganciarsi dalle briglie, galoppando verso via Garibalbi, proprio mentre in quel momento  entrava il corteo funebre.
Possiamo facilmente immaginare le scene di panico che avvennero in quegli attimi.

Chissà quante persone avranno sognato la notte quel cavallo imbizzarrito che, in preda al panico, tutto calpesta e travolge, spargendo sangue e feriti dappertutto.
Un maresciallo dei carabinieri, Eugenio Ludovico, comandante la stazione di Scafati, stava seguendo il feretro e, appena si vide passare il cavallo di fianco non perse tempo e si mise ad inseguirlo per quattro cinque metri afferrandolo al collo con un balzo prodigioso ma, nella ricaduta, venne travolto e calpestato, riportando la frattura della gamba sinistra.
Il cavallo, dopo questo primo tentativo di fermo, ripartì ancora  piu' impaurito, travolgendo nella sua folle corsa ancora una decina di persone.
La fine della tragica corsa avvenne a metà della via, quando altri coraggiosi riuscirono ad afferrarlo e a tranquillizzarlo.
Rimasero seriamente feriti a terra altre  quattro persone, i fratelli Sergio e Gabriele Arpaia, Ubaldo Laudano e Michelangelo Vitiello, tutti guaribili in una decina di giorni.
Insomma, una giornata da dimenticare anche se alla fine non ci scappò il morto.
Non successe solo per una questione di fortuna...


Cartolina del 1920- Già 40 anni prima la piazza era animata...

domenica 15 ottobre 2017

20 OTTOBRE 2017- E' PRONTO IL SECONDO VOLUME!!!

Alla fine, quello che conta, è essere soddisfatti di quello che si è fatto.
Ormai mancano solo alcune ore e poi, finalmente, il nostro tanto atteso volume, il secondo, riguardante episodi e fatti trascorsi nella nostra citta di origine, Torre Annunziata , vedrà la luce.
Sono trascorsi due anni da quel 2015 in cui, assieme al mio infaticabile compagno di viaggio, concordammo di ricercare e raccontare ancora tante altre notizie ed episodi tratti dal mondo della carta stampata che riguardasse la nostra amata città.
Avvenne la sera stessa di quella presentazione, in Biblioteca Comunale.
L'affluenza delle persone che parteciparono all'evento ci spinse a riallacciare immediatamente il rapporto con il mondo degli archivi e quello del web, al cui interno sono conservate "memorie" che, attentamente spulciate, riportano a tempo immemorabile.
Lo dovevamo alla nostra città, lo dovevamo ai nostri amici, lo dovevamo a noi.
Alcune centinaia di copie stampate vennero esaurite in poco tempo.
Ne rimasero solo alcune che conserveremo per raccontare, almeno da parte mia, il nostro piccolo percorso di provetti scrittori ai nostri nipoti, con orgoglio.
Quella sera, un cenno di intesa tra noi due, sancì l'immediata partenza per la prosecuzione di quel progetto, con la realizzazione del  secondo volume.
Ad una condizione.
Che i fatti narrati, gli episodi descritti, fossero di assoluto interesse per i nostri lettori, in grado di raccontare l'evolversi, sia dal lato positivo che dal lato negativo di Torre Annunziata.
E diversi articoli pubblicati meritano una rilettura da parte del pubblico torrese per riscoprire e rendere omaggio a persone che meritavano un miglior riconoscimento per le loro azioni.
Pensiamo a Matteo Galdi, sindaco di Torre Annunziata, il  quale salvò da morte certa  migliaia di cittadini, quasi tutti di Torre del Greco, rifugiatisi presso di noi a seguito della violentissima eruzione del Vesuvio del 1861.
Nessuno aveva messo in risalto la sua azione nel corso dei due secoli scorsi, la sua opera benefica venne riportata da uno storico giornale napoletano, scritto in dialetto.
Oppure possiamo pensare al vice console dello Zar di Russia, Alexander Derevitsky, con la sua azione di rappresentante di quel grande paese, alle prese nella nostra città con il commercio del grano e i rapporti, molto personali, con i nostri industriali dell'arte bianca.
Anche su di lui siamo riusciti a svelare un segreto che deve averlo segnato per tutta la vita, per l'amore e la compassione con cui ha seguito e fatto tumulare, nel nostro cimitero, la sua amata e misteriosa "contessa russa".
Per non parlare, poi, di Ercole Ercole, di Vito Sorrentino, figli di Torre Annunziata, o del Maggiore Pietro Toselli,  l'eroe di Amba Alagi, che nella nostra città era passato da giovane nel riordino della Real Fabbrica delle Armi.
Tante storie di tempi andati ma anche tante riguardanti la fine dello scorso secolo.
Tra queste, i ricordi del club del "Giovedì sera", fondato tra gli altri dal dott. Mario Ricciardi, con la presenza di artisti assoluti della cultura oplontina e nazionale, tra cui Michele Prisco, Peppe Viola, e ospiti settimanali del calibro di Aldo Fabrizi, Alberto Sordi, Ave Ninchi, ecc.
Tutte storie che abbiamo ritenuto opportuno inserire per fotografare la realtà di una meravigliosa città che ci rende orgogliosi per la passione, la capacità, l'ingegno, il coraggio, con cui ha cercato di  combattere il naturale disperdersi di forze positive iniziato nel secolo scorso con la crisi dell'arte bianca.
In fondo, questo secondo volume, lo abbiamo fatto anche per noi che viviamo in una realtà completamente diversa, figlia dell'emigrazione e del rimpianto, per quello che doveva essere e non è stato.
Scrivere di Torre Annunziata è una necessità,  una condizione di benessere che da vitalità alla nostra abitudinaria azione quotidiana. E' come inserire linfa e ossigeno all'interno del nostro organismo, per rigenerarci.
E per questo possiamo ritenerci soddisfatti per il triplice obiettivo raggiunto: per la memoria della  città, per i nostri amici e per noi stessi.
Alla fine, come dicevamo all'inizio di queste note, l'importante è essere soddisfatti di quello che si è fatto, e noi lo siamo.

Vi aspettiamo.


sabato 30 settembre 2017

VINCENZO, AL POSTO SBAGLIATO NEL MOMENTO SBAGLIATO.




Nella caserma di Via dei Mille, l’ordine arrivò dall’alto, direttamente dal Capitano della compagnia di Torre Annunziata.

Gabriele Sensales fu categorico.

La piaga degli scippi, perpetrata negli ultimi anni in modo massiccio sul suolo oplontino, doveva essere stroncata.

 A fronte dell’elevatissimo tasso di crimini commessi in quegli anni,  si decise di intervenire in maniera piu' energica sul controllo e il fermo  dei giovani che, a seguire, avrebbero ingrossato le fila della malavita torrese.

Erano tutti noti alle forze dell’ordine, schedati.
Tra loro tanti tossicodipendenti, troppi.

La giovanissima età giocava a loro favore, non era semplice bloccarli tra le vie e vicoli della città durante la fuga.

E poi, con tutti gli omicidi accaduti in quegli anni, chi si andava a preoccupare di fare la guerra agli scippatori?

Sensales ci  provò, anche  perché il problema scippi era divenuto insostenibile.

Decine di persone al giorno, soprattutto signore anziane, erano rimaste vittime di questi episodi vergognosi.

Vennero inviati tre giovani carabinieri a presidiare le zone “calde“ , in particolare nel centro storico.

Tra “a sces a Nunziata”  (Via Alfonso De Simone) e “miez a Ferrovia” (Piazza Nicotera) si concentrarono gli sforzi dei militi.

Le rampe ai lati dell’ex Cineteatro Metropolitan erano i luoghi preferiti per portare a termine l’agguato.

Lunga serie di scale che portano verso la zona marina, comodissime per chi deve spostarsi dal centro verso il mare.

L’azione del gruppo di turno era sempre  fulminea, rapidissima.

Il copione, scontato, non avrebbe dovuto prevedere intoppi.

Che fosse a piedi, o seduta comodamente in macchina, difficilmente la vittima avrebbe avuto scampo.  

Di solito, si seguiva per qualche metro la vittima designata, solitamente donna sola, anziana, con in mano la sua borsetta.

Uno strappo violento, una spinta, spesso la rovinosa caduta della poveretta con conseguenti escoriazioni, se non addirittura qualche frattura. 

La borsa, veniva  frettolosamente svuotata delle poche migliaia di lire e qualche oggetto piu’ o meno di valore, e successivamente buttata  nei pressi delle rampe, in modo da permettere ai soccorritori di far ritrovare almeno le chiavi e i documenti della sfortunata.

Devo dire in verità che, abitando in zona e iniziando a lavorare presto al mattino alla fabbrica del ghiaccio, avrò recuperato almeno una decina di queste borse e rintracciato i proprietari per ridagli quello che era rimasto.

Quella mattina di Agosto del 1984, il giovane carabiniere, proprio all’altezza del Metropolitan, aveva notato i movimenti sospetti dei due giovani seduti in sella ad una “Vespa”.

Essi si accostavano alle portiere delle auto in coda in quel tratto di strada,  perennemente trafficato, in attesa di trovare il momento giusto.

Il carabiniere si avvicinò alla “Vespa”, pronto ad intervenire, appena fosse scattata l’azione furtiva dei giovani.

Sapeva che sarebbe successo, bastava attendere solo qualche secondo.

Egli sapeva che il ragazzo seduto sul lato posteriore del mezzo, sarebbe sceso per prendere la borsa e scappare per quelle rampe, dove lo aspettava il complice con la moto.

Sapeva, il milite.

Preparò l’azione di difesa, impugnò la pistola d’ordinanza, una Calibro 9 automatica, colpo in canna.

Tutto avvenne in trenta secondi.

Lo scippo.

Il carabiniere che blocca il ragazzo.

I due rotolano a terra.

Lo strappo del ragazzo al braccio destro del carabiniere.

Un colpo secco.

Dieci metri.

Era questa la distanza tra il colpo partito dall’arma del carabiniere e Vincenzo Coppola.

Vincenzo stava tranquillamente parlando con il padre, fermo davanti al negozio di calzature “ Pacifico”.

Era al posto sbagliato nel momento sbagliato.
 



Vincenzo cadde al suolo, un solo colpo, alla fronte.

Tutti scapparono, rimase solo il carabiniere che aveva bloccato il giovane ladro.

Arrivarono due auto dei carabinieri in un minuto.

Furono momenti di altissima tensione, le forze dell’ordine faticarono non poco per recuperare il collega e portarlo via da lì.

Il giovane ladro, diciasettenne, venne anch'egli portato in caserma dove ammise di aver partecipato allo scippo.

Vincenzo rimase a terra, ancora per diverse ore, in attesa delle perizie e dei rilievi.


 Aveva 32 anni, era sposato e aveva due figli, la moglie era in attesa di un terzo.

Lavorava all’Italsider di Bagnoli da un paio di anni.

Quando avvisarono la moglie della tragedia, la poveretta svenne.

Tra tutta la folla presente, in quel terribile giorno, gli inquirenti non trovarono un testimone oculare.

I funerali si svolsero un paio di giorni dopo, questa volta invece, con grande partecipazione.

Nell’opinione pubblica torrese Vincenzo Coppola venne archiviato presto, quasi subito.

Rimase nel cuore dei suoi familiari ed amici.

Qualche giorno dopo il suo funerale, avvenne la strage di Sant’Alessandro.

L’operazione antiscippo venne sospesa immediatamente.

C’era ben altro da combattere.

Era la Torre degli anni Ottanta.

Si moriva anche cosi, all’improvviso, senza una ragione.

Bastava poco.

Essere al posto sbagliato nel momento sbagliato. 

 

Il ricordo di Mons. Raffaele Russo.

Il Monsignor Raffaele Russo, Rettore della Basilica della Madonna della Neve di Torre Annunziata, ci ha lasciato. Ultima tappa del suo perco...