12 APRILE 1775
VITO NUNZIANTE E' STATO UN PERSONAGGIO MOLTO IMPORTANTE PER TORRE ANNUNZIATA,
GENERALE DEL REGNO, UOMO POLITICO, IMPRENDITORE, LE TERME VESUVIANE DA LUI PORTATE ALLA LUCE SONO IL RISULTATO FINALE DEL SENSO DELL'INGEGNO E DELLE CAPACITA' CHE QUEST'UOMO SEPPE METTERE A DISPOSIZIONE NELLE VARIE LOCALITA' IN CUI PRESTO' LA SUA OPERA.
RICORDIAMO CHE IL 12 APRILE 1775 E' IL GIORNO DELLA SUA NASCITA IN QUEL DI CAMPAGNA D'EBOLI MENTRE LA SUA MORTE RISALE AL 22 SETTEMBRE 1836, CAUSATA DAL TERRIBILE MORBO NERO DI CUI RESTO' INFETTATO A NAPOLI QUATTRO ANNI PRIMA.
TRASFERITO A TORRE SECONDO LE SUE VOLONTA', VOLLE CURARSI CON LE ACQUE DELLE TERME DA LUI SCOPERTE RESTANDO IN VITA ANCORA QUATTRO ANNI.
VI PROPONGO QUESTA LETTURA DELLA SUA PERSONA DA UN LAVORO DI GIUSEPPE CIVILE TRATTO DALLA TRECCANI.
NUNZIANTE, Vito
Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 78 (2013)
di
Giuseppe Civile
NUNZIANTE, Vito. – Nacque il 12 aprile 1775 a Campagna d’Eboli, ora in provincia di Salerno, da Pasquale e da Teresa Notari.
Quarto
fra gli undici figli di una famiglia di media borghesia provinciale –
esponenti qualificati nella società locale, cui non mancavano proprietà
terriere – secondo uno schema abbastanza diffuso gli era stata destinata
una carriera ecclesiastica. Cominciò dunque gli studi necessari, avendo
come insegnante il prozio paterno canonico Antonino Nunziante,
prebendario della cattedrale.
Nel 1794 fu sorteggiato per la leva e
questo fatto occasionale cambiò in maniera radicale e definitiva la sua
vita, legandola al mestiere delle armi. Inizialmente fu assegnato come
furiere al reggimento di fanteria Lucania e nel 1797 venne promosso
ufficiale come alfiere. In quell’anno aveva sposato l’appena sedicenne
Faustina Onesti, appartenente a una famiglia di Campagna che pure
vantava più di un esponente nel clero locale. Tramontata definitivamente
la prospettiva di una carriera ecclesiastica, un matrimonio del genere
suggeriva quella di un rientro al paese d’origine e di un futuro nella
società locale non dissimile da quello dei genitori. Un’ipotesi che
sembrò rafforzarsi nel 1799 quando, dopo lo sfaldarsi dell’esercito e
l’esilio del re in Sicilia, dovette ritornare a Campagna.
Ma le
sue intenzioni erano evidentemente diverse. Venuto a conoscenza dei
tentativi del cardinale Fabrizio Ruffo di riorganizzare sbandati e
volontari in un esercito controrivoluzionario, si impegnò immediatamente
su questo fronte, riuscendo a raccogliere circa mille combattenti.
Nacque così, con l’investitura del cardinale e per esso del re in
esilio, il Reggimento Montefusco, alla cui testa Nunziante fu promosso
colonnello. Questa iniziativa personale, presa in un momento di assoluta
incertezza e latitanza del potere costituito, segnò accanto alla
professione militare il secondo aspetto caratterizzante della sua vita:
un rapporto diretto e di fedeltà assoluta con la dinastia borbonica che
non sarebbe mai venuto meno.
Nel 1806, al momento del secondo e
più lungo esilio siciliano, Nunziante era a capo delle truppe durante la
ritirata in Calabria, e poi accanto al re in Sicilia, dove nel 1809
sposò in seconde nozze Camilla Barresi, nata a Lipari da una nobile
famiglia di Messina. Dal primo matrimonio erano nati quattro figli,
altri otto sarebbero venuti dal secondo.
Era governatore delle
Calabrie al termine dell’età napoleonica e fu testimone diretto della
cattura e dell’esecuzione di Gioacchino Murat. In quell’occasione il suo
comportamento, rispettoso e pietoso nei confronti dello sconfitto,
testimoniò che la sua fedeltà ai Borboni non ne faceva un servo sciocco
della dinastia, né un accanito reazionario. La conferma di un
atteggiamento di indipendente moderazione si sarebbe avuta nelle
successive vicende del 1820-21. Benché non sia azzardato ritenerlo un
convinto assertore della monarchia amministrativa, in base alla sua
esperienza diretta come luogotenente generale non esitò nel consigliare
al re di concedere la costituzione, che gli sembrava un autentico
desiderio del popolo.
Con gli anni Venti la fase più attiva della
sua carriera militare si può considerare conclusa, e con essa la parte
più inattesa e avventurosa della sua fortuna. Lo sconosciuto
provinciale, furiere non ancora ventenne a fine Settecento, era salito
ai gradi più alti dell’esercito, aveva assunto responsabilità di
indubbio valore anche politico e, soprattutto, si era meritato la
fiducia e la riconoscenza della monarchia. Il titolo di marchese
conferitogli nel 1816, e una pensione vitalizia di 1500 ducati, ne erano
una concreta testimonianza e sancivano visibilmente la sua appartenenza
alla fascia più alta della classe dirigente borbonica. Con l’ascesa al
trono di Ferdinando II, della cui formazione militare era stato
incaricato personalmente, la sua carriera pubblica proseguì con
ulteriori successi: la luogotenenza in Sicilia, il comando assoluto
dell’esercito nel Mezzogiorno continentale, l’incarico di ministro
segretario di Stato
ad interim per la guerra e la marina, il titolo di cavaliere commendatore dell’ordine di s. Ferdinando e del Merito.
Accanto
agli impegni della vita pubblica trovò però, e ancora di più in questa
fase, il tempo per coltivare altri interessi e attività che rivelano
aspetti diversi della sua complessa personalità. Da questo punto di
vista hanno una particolare importanza iniziative che potremmo
considerare di natura a metà fra l’economico e lo sperimentale. Fra le
più tradizionali si può ricordare l’assunzione di privative: dallo scavo
dei pozzi artesiani alla fabbricazione e vendita dei cristalli, dai
cappelli di seta del Bengala alla produzione di borace, allume e acido
solforico. Ma oltre a ciò non vi fu regione del Regno in cui non si
impegnasse in imprese spesso di dubbio fondamento e risultato.
In
Basilicata prese in enfiteusi perpetua dal Comune di Latronico il monte
Alpi per sfruttarne le cave di marmo; negli Abruzzi si impegnò nella
bonifica del Pescara ed esplorò giacimenti di carbone e altri minerali,
come in Calabria; in Sicilia affittò terreni del Comune di Melissa per
l’estrazione dello zolfo; in Campania fece costruire a Torre Annunziata
uno stabilimento termale, la Vesuviana Nunziante, e partecipò
all’affitto dei mulini di Napoli.
Le due iniziative più
significative, e che meglio si prestano a chiarire il carattere delle
sue attività, furono il censo dell’isola di Vulcano, ottenuto fin dal
1807 dal vescovo di Lipari, e la bonifica della piana di Rosarno in
Calabria.
A Vulcano, dove lo scopo principale era lo sfruttamento
minerario dell’isola, la manodopera, come in molti altri casi, fu
costituita da servi di pena, cioè galeotti che lavoravano in regime di
semilibertà e sotto la garanzia del datore di lavoro. L’estrazione dei
minerali, zolfo, borace, allume e altro, fu inizialmente assai difficile
e si rivelò poi di qualità mediocre. Nonostante ciò Nunziante non
abbandonò l’impresa, anzi l’ampliò ben presto secondo un modello a metà
fra lo sperimentale e il paternalistico: sorsero sull’isola abitazioni
per i lavoranti e una chiesa dove un sacerdote li potesse assistere
spiritualmente, fu costruita una strada per agevolare il trasporto del
materiale, un chimico fu ingaggiato per migliorare la qualità dei
prodotti. Che le operazioni condotte a Vulcano risultassero
economicamente vantaggiose è molto dubbio, certo esse testimoniano una
intraprendenza non del tutto usuale negli alti ranghi del Regno
borbonico.
Rilevante più dell’esperienza a Vulcano fu l’iniziativa
presa nella piana di Rosarno. Il terremoto del 1783 aveva profondamente
dissestato la zona, rendendola in gran parte paludosa. Ne erano seguiti
un progressivo spopolamento, e condizioni sanitarie ed economiche
particolarmente gravi della popolazione rimasta. Nel 1817 Nunziante,
come commissario civile per la Calabria e la Basilicata, aveva
ispezionato la zona e presentato un rapporto a Napoli proponendone la
bonifica. In mancanza di risorse pubbliche e di un’offerta privata in
cambio di un compenso in terreni, si assunse direttamente l’incarico. Il
contratto con il Comune di Rosarno, stipulato nel 1818, prevedeva entro
cinque anni la sistemazione idraulica e la bonifica dei suoli
dall’abitato fino al mare, in cambio dei tre quarti del terreno
bonificato. I lavori furono ultimati nell’estate del 1822, in anticipo
sul termine contrattuale e riguardarono complessivamente 1607 tomolate
di terra, pari a oltre 470 ettari. Al Comune andarono le terre più
pregiate, vicine all’abitato e più facilmente coltivabili, e a Nunziante
il resto, oltre 1300 tomolate che si estendevano nella piana verso il
mare fino al confine del Comune di Gioia.
Subito dopo iniziarono i
lavori per dissodare e mettere a coltura la nuova proprietà, di cui si
sarebbe occupato fino al 1834 Guglielmo Gasparrini, un botanico di
grande prestigio, già direttore dell’orto botanico di Palermo e poi
professore all’Università di Napoli. Accanto alla coltivazione dei
cereali trovarono posto oliveti e agrumeti, il sommacco e la robbia
oltre alla gelsobachicoltura, impiantata con la consulenza di un esperto
venuto apposta da Bergamo. Si ricorse a contratti di affitto
soprattutto per i terreni coltivati a cereali; olivi, agrumi e
bachicoltura furono invece affidati a contratti di colonia
partecipativa; il lavoro salariato servì per la sistemazione dei
terreni, l’impianto di nuove colture e la trasformazione dei prodotti
agricoli. A tutto ciò provvide una popolazione crescente formata in
parte da servi di pena, e per il resto da lavoratori delle zone vicine
attirati dalla offerta di Nunziante: terra da coltivare secondo le
proprie possibilità di lavoro e con due anni di locazione gratuita.
In
breve tempo oltre 500 coloni si stabilirono in maniera permanente nel
neonato villaggio di San Ferdinando, che era sorto anch’esso secondo un
preciso disegno del marchese: una via principale delimitata ai due
estremi dal palazzo padronale e dalla chiesa, e ai suoi lati le fila di
casette destinate agli abitanti, cui si erano aggiunte presto delle più
misere ‘pagliare’. Come già, in parte, era stato fatto a Vulcano, un
sacerdote, un medico e un piccolo numero di artigiani completarono
inizialmente i servizi offerti agli abitanti del villaggio.
Per
capire correttamente la particolarità dell’esperimento di San Ferdinando
bisogna tener presente la parte svolta in esso da Nunziante. Non solo
infatti egli ne fu l’animatore e il gestore, ma anche l’assoluto
proprietario delle terre, delle case e di tutti i servizi che ne
facevano parte, svolgendo così un ruolo totalizzante che, se da un lato
rappresentò il culmine delle sue attività innovative sul piano economico
e sociale, dall’altro gli conferì nei confronti del territorio e della
comunità nascente un potere che, più di una volta e seppure
impropriamente, sarebbe stato definito feudale.
San Ferdinando
risultò di primaria importanza nella vita del marchese e della famiglia
per diversi motivi: rappresentò un ulteriore e stabile motivo di legame
con la Calabria; rafforzò quello che per un compiuto profilo di grande
notabile era forse l’anello più debole, e cioè il possesso di una estesa
proprietà fondiaria; fu il punto d’avvio non solo della più
significativa delle tante iniziative di Nunziante, ma anche della più
duratura. Da San Ferdinando sarebbe partita la ricostruzione delle
fortune della famiglia dopo la crisi dell’Unità e nel 1911 il predicato
si sarebbe aggiunto ufficialmente al titolo di marchesi.
Anche in
Calabria le costanti nelle iniziative di Nunziante non cambiarono. La
persistente tutela della monarchia, il ricorso ai servi di pena, il
rapporto con gli enti locali, i modesti risultati economici e, in alcuni
casi, l’evidente assenza di una ragionevole valutazione del rapporto
costi-benefici, ne mettono in evidenza il carattere insieme protetto e
sperimentale. Nunziante fu a lungo presente sul campo, partecipò
personalmente alla progettazione e alla realizzazione dei lavori, vi
coinvolse esperti di fama, come Gasparrini o il geologo Leopoldo Pilla,
spinto anche da una evidente curiosità culturale.
Va ricordato, a
tale proposito, che già nel 1819 era socio dell’Accademia florimontana
degli Invogliati, colonia dell’Arcadia di Roma, con il nome di Palmerino
Emerissio, e negli stessi anni, quelli della bonifica, socio onorario
della Società economica di Calabria Ultra Prima. La maggior parte dei
suoi interessi culturali andava agli studi scientifici, per i quali fu
anche in corrispondenza con Jean-Baptiste Biot, famoso fisico e
astronomo francese. Negli anni Trenta, sul finire della carriera, entrò
nell’Accademia reale di belle arti, nell’Accademia palermitana di
scienze e lettere, nel Real istituto di incoraggiamento, nella Société
polytechnique e nell’Institut historique di Parigi.
Accanto agli
impegni pubblici, culturali ed economici, non mancò quello di
consolidare la posizione della famiglia in modo da trasformare la sua
straordinaria fortuna personale in qualcosa di duraturo. Una scelta
significativa a questo proposito fu quella della carriera militare,
simbolo del rapporto privilegiato con la monarchia, per tutti i figli
maschi. Nel 1834 il matrimonio del primogenito Ferdinando con Maria
Giuseppa Gaetani dell’Aquila d’Aragona dei duchi di Laurenzana
testimoniò poi l’intenzione di radicare la famiglia nell’
élite aristocratica del Regno.
Nunziante,
cui sarebbe stato riconosciuto dai discendenti un ruolo di capostipite
dinastico, morì due anni dopo, il 22 settembre 1836.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Napoli, sez.
Arch. privati,
Arch. Nunziante; G. Gasparrini,
Discorso intorno l’origine del villaggio di San Ferdinando e sopra le principali cose che quivi si coltivano, s.d. s.l.; R. Liberatore,
Elogio funebre del marchese V. N., Napoli 1836; F. Palermo,
Vita e fatti di V. N., Firenze 1839; F. Nunziante,
La bonifica di Rosarno e il villaggio di San Ferdinando. Saggio di storia agraria, Firenze 1929; N. Cortese,
Il generale V. N. e la rivoluzione napoletana del 1820, Benevento 1930; F. Nunziante,
Il generale V. N. (1775-1836), a cura di U. Caldora, Napoli 1964; G. Civile - G. Montroni,
L’archivio privato del N. di San Ferdinando e la storia dell’economia del Mezzogiorno in età contemporanea, in
Società e storia, II (1979), pp. 601-604; J. Davis,
Società e imprenditori nel regno borbonico 1815/1860, Bari 1979, III, pp. 219-323; B. Polimeni,
San Ferdinando e i N.: cronistoria, Soveria Mannelli 1988; G. Civile - G. Montroni,
Tra il nobile e il borghese. Storia e memoria di una famiglia di notabili meridionali, Napoli 1996; G. Montroni,
Gli uomini del re. La nobiltà napoletana nell’800, Catanzaro 1996, capp. I-III, pp. 3-93.